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Le Ferrovie Dismesse rappresentano in Italia un patrimonio di oltre 5.000 km. Il loro recupero è un tema da sempre caro a FIAB-Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta che, già nel 2010, aveva realizzato una prima indagine dal titolo Dalle rotaie alle bici[1] con il duplice obiettivo di classificare quanto già in essere e di stimolare decisori politici e amministratori ad attuare scelte per la riqualificazione dei sedimi ferroviari non più in uso e per la loro riconversione in percorsi dedicati al turismo lento.

A 10 anni di distanza una nuova ricerca di FIAB, condotta da Antonio Dalla Venezia (coordinatore regionale FIAB Veneto e presidente del comitato tecnico scientifico di Bicitalia.org), restituisce una fotografia aggiornata da cui emerge un complessivo salto in avanti, con un +60% di chilometri di ferrovie dismesse oggi recuperati e trasformati in ciclabili, passando dai precedenti 640 agli oltre 1.000 km. Recuperare una Ferrovia Dismessa significa, di fatto, tenere viva la memoria e la storia di una infrastruttura pre-esistente, dando nuova dignità a un lavoro realizzato magari oltre settant’anni fa. I progetti di riqualificazione includono sempre il recupero di vere e proprie opere d’arte, come gallerie, ponti, viadotti, caselli e stazioni, che sono un importante patrimonio culturale e architettonico del nostro Paese. Inoltre, indipendentemente dalla nuova destinazione d’uso, riqualificare un tratto di ferrovia consente di evitare il consumo di suolo pubblico vergine: si tratta dunque di interventi nel rispetto dell’ambiente e con un impatto minimo sul territorio. Secondo l’ultima ricerca di FIAB le tratte di ferrovie dismesse riconvertite in ciclovie sono passate da 42 nel 2010 a 57, coinvolgendo tutte le Regioni tranne la Valle d’Aosta e il Molise che, però, hanno solo pochi tratti dismessi e per giunta soltanto di recente.Le regioni più virtuose, ovvero che hanno in assoluto più sedimi ferroviari recuperati e convertiti in percorsi ciclabili, sono il Veneto con 165,5 km (tra cui la tratta Treviso-Colzé di 54 km lungo la ciclovia Treviso-Ostiglia e la tratta di 42 km Calalzo-Cimabanche lungo la Calalzo-Cortina-Dobbiaco), seguito dalla Emilia Romagna con 132,2 km e dalla Lombardia con 121,3. A queste si affiancano regioni che, indipendentemente dal numero di chilometri di ferrovie dismesse riqualificate in ciclovie, hanno dimostrato una dinamicità nel credere fortemente in questo tipo di investimenti. In dieci anni, dal 2010 al 2020, la regione più attiva è stata l’Umbria, da 11 a 73 km con un +564%, seguita dalla Basilicata, da zero tratte recuperate a 41,6 km, ovvero +416%, e dall’Abruzzo (+425%) una volta completato il cantiere in corso lungo la Costa dei Trabocchi. La tratta ferroviaria con più chilometri recuperati è la Godrano-Ficuzza-San Carlo in Sicilia, 62 km convertiti in ciclovia ma che necessitano una maggiore attenzione in termini di interventi di manutenzione e conservazione; seguita in Friuli dalla tratta Tarvisio-Gemona di 58 km lungo la ciclovia dell’Alpe Adria.

“Osservando i dati che emergono dalla ricerca - commenta Antonio Dalla Venezia - si nota che, accanto all’impegno di alcune regioni principalmente nel Nord Italia che possiamo definire storicamente attive e sensibili alle tematiche di mobilità ciclistica e dove si registrano i maggiori interventi, fanno ben sperare anche esempi al Centro e al Sud. In Basilicata sono ampiamente avviati i lavori di recupero di due ferrovie dismesse, mentre in Umbria sono stati stanziati fondi per il completamento della Spoleto-Norcia (7 km in progettazione avanzata tra Casale Volpetti e Serravalle di Norcia) e sono stati avviati i lavori per il recupero di 50 km tra Monte Corona e Fossati Vico nell’Eugubino. È tuttavia un peccato che regioni come Piemonte, Marche, Lazio, Campania, Puglia e Calabria, nelle quali esiste un importante patrimonio di ferrovie dismesse da riconvertire, non abbiamo fino ad ora mostrato un attivo interesse per questa tematica”. I vantaggi diretti e indiretti che il recupero di una tratta di ferrovia dismessa porta con sé sono davvero innumerevoli: valorizzazione di territori minori come paesi di montagna; nuova linfa per una piccola economia locale; supporto concreto al cicloturismo e, perché no, alla mobilità sostenibile quotidiana; incentivo per la ripresa o l’apertura di servizi e attività di accoglienza rivolte ai cicloturisti.

Bici e treno sono i mezzi sostenibili per eccellenza, l’una sulle brevi distante l’altro sulle medie e lunghe. Entrambi hanno una lunga storia alle spalle, ma anche un futuro tutto da sviluppare, come confermato dal Green New Deal europeo di Ursula von der Leyen, che punta sui treni veloci al posto degli aerei nelle tratte continentali – dichiara Alessandro Tursi, Presidente FIAB e Vicepresidente di ECF-European Cyclists’ Federation di cui FIAB fa parte, che spiega: - Ben venga allora il trasporto ferroviario, ma quando è reale trasporto, con corse quotidiane affiancate anche da treni turistici. Una linea ferroviaria, rispetto a una ciclabile, richiede costi manutentivi notevoli per la collettività, non sostenibili ne giustificabili per soli viaggi turistici domenicali o addirittura occasionali. Lasciare una linea ferroviaria per i soli treni turistici, quindi per poche corse nell’arco di un intero anno, significa precludere alla collettività il ben maggiore uso che ne deriverebbe dalla conversione in ciclabile, cioè aperta a tutti e tutti i giorni, a ogni ora del giorno. L’uso ciclabile inoltre permette di accedere al territorio, di viverlo e di rivitalizzarlo in modo continuo, metro per metro, mentre i treni turistici lo rendono visitabile in modo discontinuo, nei soli punti delle stazioni”.


[1] “Dalle rotaie alla bici”: indagine sulle ferrovie dismesse recuperate all'uso ciclistico, a cura di Giulia Cortesi e Umberto Rovaldi, marzo 2011